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Modelli teorici nel suono – Sfere sonore di David Sonnenschein

Quando si parla di suono, senza entrare nel merito della musica, spesso la tendenza è quella di concentrarsi con molta precisione su questioni tecniche e logistiche per arrivare ad ottenere un certo tipo di qualità o su come bisogna processare una certa sorgente sonora per arrivare ad un certo tipo di effetto sonoro. Nel momento in cui si cerca di dare al discorso “suono” un respiro più ampio, quando si cerca di fare speculazione di tipo estetica sulla costruzione di un buon sonoro per il cinema o per il videogame, la “letteratura” diventa più vaga e nebulosa. A pensarci bene non è facile creare modelli teorici su una questione di questo tipo perché spesso, per quanto ci si voglia sforzare nella ricerca della soluzione universale per tutte le possibili storie da narrare attraverso gli effetti sonori, la musica e la voce, il suono è strettamente legato, oserei dire che è figlio, delle immagini e del ritmo che esse hanno. Impossibile creare il suono perfetto per un’immagine che ancora non abbiamo visto e vissuto emotivamente.

Molte regole estetiche nel suono cinematografico sono state tirate fuori analizzando film già confezionati, penso ad esempio al meraviglioso lavoro letterario di Michel Chion, che è riuscito a canonizzare alcune costruzioni audio video di film illustri, creando direttive e regole estetiche, che probabilmente non erano neanche lontanamente presenti nelle intenzioni dei tecnici che le stavano realizzando. A mio vedere la grammatica sonora cinematografica è nata così, un pò per caso! Altri sforzi per dare un senso a questa ricerca metodologica l’hanno data personaggi come Walter Murch che con le sue pubblicazioni ha fatto scuola in questo campo. In questo articolo mi voglio concentrare soprattutto su David Sonnenschein che ha realizzato un’interessantissimo libro “Sound Design“, nel quale intreccia numerosi studi, che vanno dalla fisiologia alla musicoterapia, passando per la psicologia, per ricercare una metodo atto a sviluppare in chi lo applica una certa sensibilità alla narrazione attraverso il suono. Molto interessante è un modello di esercizio che ha recentemente creato insieme al suo gruppo di studio che chiama le “sfere sonore”, in un’articolo uscito su designing sound di recente ne spiega il funzionamento.

Questo modello si prefigge lo scopo di aiutare chi lo applica a fare tesoro delle proprie esperienze quotidiane facilitando con semplici esercizi la presa di coscienza di tutte le emozioni che si provano durante l’ascolto di determinati eventi sonori. In fondo, il creativo in genere, attinge dalla propria vita l’ispirazione per le proprie creazioni. Chi lavora nel suono non è da meno, ma spesso l’esperienza dell’udito è vissuta in maniera passiva e distratta, non a caso bisogna “fermarsi” ad ascoltare il mondo che ci circonda!

Sonnenschein indica con le sfere sonore sei diversi insiemi di esperienze sonore e le pone come se fossero sei cerchi concentrici. Il cerchio interno assume il significato di “I think” (Penso), i cerchi hanno indicano: “I am” (Sono); “I touch” (Tocco); “I see” (Vedo); “I know” (Conosco); “I don’t know” (Non conosco). Questi insiemi sono strettamente correlati, il suono si muove attraverso queste regioni e mano a mano che il suono si muove, l’emozione di chi lo ascolta cambia. Un’esempio concreto è quando vediamo un film thriller; un determinato suono di cui non vediamo la sorgente e che non riusciamo ad associare a nulla di noto (Sfera “I don’t know”) genera ansia nello spettatore, la scena va avanti e si scopre la sorgente (Sfera “I see”) la tensione cala. Il suono in questione passando da una sfera all’altra porta lo spettatore da una sensazione di ansia ad una sensazione di calma. Se nel film il suono dovesse essere riproposto, lo spettatore, vista la precedente scena, conoscerebbe già quel suono ed in questo caso la sfera di appartenenza sarebbe “I know” e la risposta emotiva dello spettatore sarebbe meno tesa poiché già conosce il suono. Analizziamo ora le sfere sonore una ad una cercando di capire le informazioni che si ottengono dai sei diversi livelli di percezione si Sonnenschein.

“I think” – Penso.
Si riferisce a quei suoni che solo io posso ascoltare. Sono i suoni che genera la mia mente, suoni accessibili solo a me, il ricordo sonoro, come per esempio il ricordo di una melodia che rimane in testa o anche rumori particolari di cui si ricorda il timbro e il tono.
Esempi: memorie, sogni, ripetizioni o appunti mentali, ricordo musicale.

“I am” – Sono
Il nostro corpo, per via della sua fisiologia, genera dei suoni, spesso sono udibili solo da noi, altre volte possono anche essere uditi dagli altri, in alcuni casi con risultati imbarazzanti. Parlare o battere le mani sono i suoni più ovvi per stabilire una comunicazione con gli altri. Questa sfera rappresenta i suoni più intimi e personali che è possibile interfacciare con il mondo esterno e creare una relazione.
Esempi: battito cardiaco, respiro, mormorio dello stomaco, flautolenze, suoni della bocca (masticamento, sbadigli, singhiozzi…) applausi, parlato.

“I touch” – Tocco
Quando ci muoviamo ed interagiamo con il mondo circostante, quando urtiamo gli oggetti che ci circondano, provochiamo vibrazioni sonore. Le nostre abili mani, che ci distinguono dal resto del mondo animale, possono creare una quantità infinita di suoni sia che si tratti di fragorosi rotture di oggetti che delicate melodie su strumenti musicali.
Esempi: passi, manipolazione di oggetti ed utensili, contatti nello sport, scrittura su tastiera.

“I see” – Vedo
Questa categoria, rappresenta nella dimensione cinematografica i suoni in campo, cioè quei suoni dei quali vediamo la sorgente che li genera. Questa sfera può essere tranquillamente inclusa nelle precedenti “I touch” e “I am” poiché possiamo vedere il nostro corpo generare un suono toccando un’oggetto. La particolarità di questa categoria è che si riferisce più a quei suoni che vediamo con un senso di distacco, che viviamo in maniera passiva perché non abbiamo possibilità di interazione con la sorgente.
Esempi:una bocca che parla, la televisione, un’auto che passa, una teiera che bolle.

“I know” – Conosco
Questa categoria, e quella seguente (“I don’t know”), sono da considerare al cinema come se fossero i suoni fuori campo, quando cioè  la sorgente non è visibile a chi l’ascolta. In una situazione in cui si conosce il contesto ambientale, l’ascolto di particolari suoni (quelli che ci si aspetta di sentire) crea un certo senso di familiarità. Per esempio se sentiamo botte metalliche all’interno di una cucina è facile dedurre che qualcuno sta spostando pentole o sta lavando i piatti e la cosa non desta preoccupazione. Se lo stesso suono provenisse dalla camera da letto susciterebbe nell’ascoltatore un’enorme punto di domanda. Un’altro esempio potrebbe essere l’ululato di un lupo, se provenisse da una montagna preoccuperebbe in maniera relativa, diverso sarebbe l’effetto se fosse all’interno di un centro commerciale!
Esempi:gente che parla fuori dal nostro campo visivo, la musica per radio, grilli, cicale, uccelli, vento.

“I don’t know” – Non conosco
Essendo questa una categoria meno comune delle altre è da considerare come uno strumento molto potente. Se ascoltiamo per lungo tempo un suono che non riusciamo ad identificare automaticamente siamo spinti a ricercarne la sorgente. Forse, se non è minaccioso, se è debole e non si ripete spesso, non presteremmo molta attenzione e lo ignoreremmo. Ma se ci fosse qualche sorta di potere sia nel suo ascolto ridotto (es. fragoroso, stridulo, ripetuto) che nel suo ascolto semantico (es. pauroso, divertente, familiare) la nostra mente allora non esiterebbe a ricercare la sorgente che lo provoca. E’ una caratteristica della psicologia umana che tende ad avere questo tipo di comportamento per cercare la soluzione ai problemi che gli si pongono davanti. La velocità della ricerca con cui si passa dall’ignoto alla conoscenza può essere influenzata dal tipo di cultura, dal grado di istruzione e dal tipo di esposizione che si ha a certi tipi di suono. Alcune ricerche dimostrano che le persone sono più veloci nel riconoscere i suoni creati artificialmente dall’uomo piuttosto che i suoni naturali.
Esempi: Proprio perché sconosciuti non è possibile citare esempi, tuttavia è possibile descrivere i parametri acustici (fragoroso-quieto, alto-grave, corto-lungo) oppure è possibile descriverne le qualità emotive (calmante, inappropriato, pauroso)

Capito il funzionamento delle categorie indicate sopra l’esercizio che suggerisce Sonnenschein, per crearsi i propri strumenti di comprensione della costruzione sonora, è quello di fermarsi ad ascoltare cosa accade attorno a noi per tre minuti e prendere nota di tutti suoni che, in qualche modo, ci colpiscono in questo lasso di tempo, cercando poi di inserirli nelle sfere appropriate e se necessario descrivendo anche i movimenti che questi suoni fanno da una sfera all’altra.

Per concludere l’articolo riporto un’esercizio svolto da uno studente di Sonnenschein.

Prove d’orchestra.
Questo esercizio e stato svolto da un violinista durante una sessione di prove d’orchestra.

I think – Mi sembra di sentire le prossime note che mi accingo a suonare nelle prossime misure, sembra quasi che le stia provando prima di eseguirle. Inoltre quando il direttore ferma l’orchestra mi sembra di ascoltare ancora la musica che stavamo eseguendo come se riverberasse ancora nella mia mente.

I am – Non riesco ad ascoltare i miei movimenti durante il brano ma appena finisce, sento il mio respiro e oltre a ciò mormoro la melodia appena suonata.

I touch – Questo è abbastanza ovvio per me che suono il violino, muovo l’archetto sulle corde e suono le note con la tastiera, ci sta anche il suono dello spartito che vine sfogliato e il mio piede che batte il tempo del brano.

I see – Tutti gli altri musicisti che suonano e il direttore che parla e batte la bacchetta sul leggio.

I know – Tutti i musicisti che non riesco a vedere perché dietro di me o nascosti dai loro stand, ma riconosco i loro strumenti dal suono che fanno, inoltre qualcuno dietro sussurra qualcosa non capisco le parole ma so chi è perché ne riconosco la voce.

I don’t know – La nostra sala prove è isolata molto bene, nonostante ciò ho udito un tonfo sordo provenire da fuori, non so cosa sia, ma nessuno sembra che se ne sia preoccupato.

L’esperienza appena esposta mostra come si sovrappongano musica, effetti sonori e voce, in un’esperienza di vita quotidiana ed è ottima per dimostrare come le sfere sonore possano essere applicate equamente a tutti i tipi di suono.

L’articolo di originale di Sonnenschein da cui ho preso spunto lo potete trovare su designingsound.org

Mirko Perri

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